Dentifrici, sigarette e Presidenti del Consiglio: gli effetti del bias d’autorità

Se vi state chiedendo cosa potrebbe accomunare uno dei più celebri dentifrici odierni, una marca di sigarette americane negli anni ’30 e l’attuale Presidente del Consiglio, Mario Draghi, la risposta è semplice. O quasi.

Si tratta del bias di autorità. Per “bias” si intende una scorciatoia cognitiva, ovvero un processo mentale più breve e meno faticoso che il nostro cervello intraprende subconsciamente per prendere decisioni più rapide ma meno ponderate.

D’altronde, siamo un’evoluzione delle scimmie: non tutte le decisioni che prendiamo possono essere basate su una considerazione dettagliata e razionale di tutte le variabili presenti. Spesso, senza neanche rendercene conto, prendiamo le nostre decisioni “d’istinto” partendo solo da poche informazioni che abbiamo a disposizione. Ecco, questi processi subconsci che ci portano a basare le nostre scelte su considerazioni incomplete e parziali sono dei bias.

Quello di autorità è semplicemente un bias che ci porta ritenere più credibile l’opinione di una persona autorevole, a prescindere da quale sia il tema di cui sta parlando.

Facciamo un esempio. Io, che non sono né un odontoiatra né un igienista dentale, scelgo il mio dentifricio quasi a caso. Se dovessi fare una ricerca per scegliere il miglior dentifricio sul mercato, non saprei neanche da dove iniziare. Proprio per questo, c’è un’azienda che produce dentifrici che nelle sue pubblicità dice che i loro prodotti sono “consigliati da 9 dentisti su 10”. Io di dentifrici non ne capisco nulla, ma se il 90% dei dentisti mi dice che c’è un dentifricio che è indiscutibilmente migliore degli altri, chi sono io per contraddirli?

Un altro esempio. Un secolo fa, si sapeva ancora poco dei danni provocati dal tabacco. Anzi, c’era la credenza che l’inalazione del fumo potesse essere un toccasana per la gola. Lucky Strike, azienda di tabacco americana, decise quindi di sfruttare questa leggenda metropolitana per vendere più sigarette. E funzionò!

Nel 1930, Lucky Strike lanciò per la prima volta la campagna “It’s toasted!” che lasciava sottintendere che la tostatura del loro tabacco facesse bene alla salute. Per sostenere questa posizione, la loro campagna pubblicitaria girava attorno a questo manifesto: le Luckies non solo erano meno irritanti erano anche anti-tosse! Il manifesto ci dice che ci fossero più di 20,000 medici a sostenere questa assurdità, uno dei quali è ritratto sorridente mentre tiene in mano un pacchetto di sigarette.

Sia nel caso dei dentisti che ci consigliano una marca di dentifricio, che in quello dei medici che ci consigliavano una marca di sigarette, queste campagne pubblicitarie si basano sul bias d’autorità.

Ma che c’entra questo con la politica? In parole povere, l’authority bias ci affligge anche quando pensiamo chi vogliamo votare. Questa scorciatoia cognitiva non si ferma soltanto al marketing delle aziende private. Anzi, chi si occupa di comunicazione politica ne deve essere ben conscio nel lavoro di tutti i giorni.

Prendiamo l’esempio del nuovo Premier, Mario Draghi. L’ex Presidente della Banca Centrale Europea gode di un livello di fiducia davvero alto in questo momento. Secondo un sondaggio Tecné, circa il 61% degli italiani ha fiducia in quello che sarà il suo operato come Presidente del Consiglio.

Nulla da togliere, il cui curriculum è sicuramente impressionante e che ha dimostrato grande capacità nei suoi precedenti ruoli, ma perché tutta questa fiducia? D’altronde, gestire la BCE e governare l’Italia sono lavori ben diversi e che richiedono conoscenze e competenze molto diverse. Non che Draghi non abbia le conoscenze e competenze necessarie, sia chiaro, ma questo dato ci indica che gli italiani si fidano di lui prima ancora che ci abbia dimostrato di averle.

Come spieghiamo questa grande fiducia nei confronti del nuovo Premier? Con il bias di autorità. Crediamo che sarà un buon Presidente del Consiglio perché è una figura autorevole nel settore finanziario e istituzionale internazionale.

C’è da tenere a mente che l’authority bias non è per sempre. Pensiamo ad altri casi di Primi Ministri arrivati nella scena politica da altri settori, che da subito raccolsero grande supporto ma che poi lo persero con l’avanzare del tempo come ad esempio Mario Monti. Illustre professore di economia e rettore dell’Università Bocconi, nel 2011 viene nominato Presidente del Consiglio pur non essendo mai stato in politica, per risollevare l’Italia dalle macerie della crisi finanziaria.

Quattro giorni prima del suo giuramento, il professore registrava il 64% di consenso pubblico (Repubblica). Anche in questo caso, gli italiani dimostrarono grande fiducia per una figura che non proveniva dall’ambito politico, ma che era ben conosciuta ed apprezzata nel suo settore. In un qualche modo, essere un professore autorevole si era tradotto nell’essere un Premier di qualità.

Un altro esempio meno recente è quello di Silvio Berlusconi nel 1994. Prima ancora della campagna elettorale, Berlusconi registrava il 52% di fiducia nei sondaggi (Repubblica). Alle elezioni, il centrodestra di Berlusconi vinse con più del 42% dei voti, metà dei quali erano in supporto del neonato partito “Forza Italia”.

Berlusconi, al tempo, non era un politico. Nonostante ciò, era a suo modo una figura autorevole. Era un imprenditore di successo che tutti conoscevano, un uomo che si era fatto da solo ed era il proprietario del Milan. Anche lui giovò del bias d’autorità. Nessuno poteva dire con certezza se sarebbe stato un buon politico, ma vista la sua competenza nell’imprenditoria, gli italiani lo ritennero un buon candidato per la Presidenza del Consiglio.

Insomma, dovunque guardiamo, che sia in politica, nei nostri acquisti, o in mille altri aspetti della vita quotidiana, possiamo riconoscere gli effetti del bias d’autorità: una scorciatoia cognitiva che di per sé non ha nulla di male, ci aiuta semplicemente a prendere decisioni rapide quando abbiamo poche informazioni in merito.

Questo si applica anche alle nostre preferenze politiche, portandoci a fidarci di personaggi che con la politica non hanno molto a che fare, ma che sono autorevoli nel loro ambito. Il Presidente Draghi è solo l’ultimo esempio, ora servirà tempo per valutare se l’opinione degli italiani costruita su questo bias si rivelerà corretta.

Glauco Grestini*

*Alterna le consulenze in Italia (tra campagne elettorali e comunicazione) con la ricerca in psicologia politica all'Università di Oxford. Scrive, legge e twitta quasi solamente su questi temi.

Close

50% Complete

Two Step

Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit, sed do eiusmod tempor incididunt ut labore et dolore magna aliqua.